L’Abbazia di San Pietro: da monastero benedettino a luogo di socialità.
A pochi chilometri dal centro di Sant’Elia a Pianisi sorge, in armonia con il contesto rurale del circondario, una piccola cappella in stile romanico. La chiesa, dedicata a San Pietro apostolo, si presenta agli occhi di chi attraversa la Strada Statale 212 con un’architettura e una decorazione molto sobrie senza passare però inosservata. La sua struttura solida fa capolino, a tratti, dall’ombra degli alberi che costeggiano la statale, attirando l’attenzione di quanti si trovano a passare lungo il suo tragitto. Chi avrà voglia di fermarsi si troverà davanti a una struttura a navata unica, con copertura a doppio spiovente e cornicione “a romanella”, e un piccolo arco in ferro dal quale pende una singola campana. La facciata, interamente in pietra, è la parete sulla quale si concentra la maggior parte delle decorazioni. Essa è divisa verticalmente in quattro sezioni da una serie di lesene e archetti pensili. Questo motivo sembra essere ripreso da una delle pareti laterali, su cui infatti è presente una coppia di archetti ciechi uniti da una mensola. La parete in questione conserva anche l’unico elemento scultoreo superstite, un agnello scolpito. È probabile che la chiesa nel corso del tempo abbia subito dei restauri invasivi che ne abbiano modificato addirittura le mura e che la parete laterale sia ciò che resta del nucleo originario della costruzione. Alcuni ipotizzano che proprio durante uno di questi rimaneggiamenti, risalente probabilmente al XIII/XIV secolo, la facciata principale abbia attinto alla decorazione architettonica già esistente per assumere l’aspetto che ancora oggi conserva. L’ultimo elemento che la facciata presenta è il rosone con croce patente che si apre nella porzione centrale del timpano; esso è anche l’unica fonte di illuminazione della chiesa.
Sebbene oggi la chiesa appaia isolata, le fonti storiche ci dicono che essa faceva parte di un monastero benedettino i cui monaci appartenevano allo stesso ordine di quelli del più noto San Vincenzo al Volturno, uno dei più importanti monasteri medievali del sud della nostra penisola.
Durante tutto il Medioevo i monasteri furono strutture fondamentali sia per la loro funzione spirituale sia per il ruolo che svolsero nell’amministrazione politica e nello sviluppo economico locale. Inizialmente, i monasteri benedettini, che seguivano la Regola di San Benedetto da Norcia (Ora et labora), assunsero la forma di un vero e proprio borgo autosufficiente; essi sorgevano nelle campagne, lontano dai centri urbani, in modo tale che i terreni circostanti potessero essere coltivati dai monaci stessi per il sostentamento di tutto il monastero. Intervallata dall’attività liturgica, la giornata dei monaci prevedeva, infatti, anche il lavoro nei campi e lo studio e la conservazione del sapere; all’interno dei monasteri si trovavano gli scriptori, luoghi in cui i monaci amanuensi ricopiavano e miniavano con maestria i codici biblici e i testi antichi, greci e latini, che la Chiesa, adottando una lettura allegorica, riteneva degni di essere diffusi e tramandati. È infatti per il lavoro di numerosissimi monaci medievali che molti dei testi classici, letti e studiati ancora oggi, sono giunti fino ai nostri giorni. Man mano che i monasteri crescevano e aumentava il loro potere economico essi iniziarono a esercitare una sempre più forte attrazione sulle comunità limitrofe; intorno ai cenobi, infatti, andarono istaurandosi numerose botteghe, soprattutto maestranze edili, impiegate nei lavori di restauro e di ampliamento che spesso interessavano questi luoghi. Al loro interno furono aperte scuole in cui venivano istruiti, insieme ai monaci, anche i figli della nobiltà locale. I monasteri iniziarono a possedere fattorie e interi villaggi, inserendosi a pieno nel tessuto sociale dei centri abitati e delle loro comunità.
Il monastero di cui faceva parte la chiesa di San Pietro de Planisio, come viene ricordata dalle fonti, doveva anch’esso corrispondere, seppur con qualche specificità e differenza, alla descrizione generica che abbiamo appena visto di quello che era un monastero benedettino nel Medioevo; tuttavia, nell’area non sono state effettuate ricerche archeologiche approfondite per cui quello che sappiamo della sua storia è stato ricavato dalle fonti storiche.
Le prime notizie certe circa l’esistenza dell’abbazia di San Pietro risalgono al 1153, anno in cui papa Anastasio IV decretò che la chiesa fosse tra le dodici badie dell’Arcidiocesi di Benevento. Esiste anche un documento precedente, risalente al 1068, in cui ci viene detto che Anihelo e Raynaldus, signori di Casalfano, donarono ad Adalberto, abbate di San Pietro, la chiesa di San Lorenzo di Casalfano, ma, essendo stata messa in dubbio la sua autenticità, la cartula non può essere presa in considerazione per la datazione post quem del monastero. Secondo alcuni autori nel 1252, invece, papa Innocenzo IV pose il monastero sotto la diretta dipendenza della sede apostolica, privilegio tuttavia messo in dubbio, e conferì all’abbate il possedimento di alcuni abitati e di 12 chiese, tra le quali, peraltro, la chiesa di San Lorenzo di Casalfano e quella di San Benedetto de Planisio. Sappiamo poi che durante il pontificato di Niccolò V, quindi tra il 1447 e il 1455, il monastero fu unito al capitolo della cattedrale di Benevento, e a quel tempo i monaci dovevano già aver abbandonato il cenobio. Nel 1581, quando il visitatore apostolico Pietro Lunel visitò il sito, l’abbazia doveva essere già una chiesetta rurale, tanto che egli sentì la necessità di dover imporre che vi fosse celebrata messa una volta a settimana. Con il tempo il complesso è caduto in disuso, senza che nessuno se ne prendesse cura fino a quando, alla fine del secolo scorso, fu avviata la costruzione di una struttura in prossimità della chiesa che tutt’oggi è utilizzata dalla comunità. L’ultimo intervento di restauro si è concluso proprio l’estate scorsa.
San Pietro continua a essere uno dei luoghi chiave per la popolazione santeliana; sicuramente tutti avranno un qualche ricordo legato a questo sito. Qui, infatti, negli ultimi decenni, sono state organizzate feste e attività di varia natura che hanno contribuito a cementificare il legame tra la comunità e l’antico monastero.
È quasi poetico, se ci si pensa, notare come la vecchia abbazia abbia mantenuto un ruolo aggregativo all’interno del suo territorio per quasi mille anni.